Inferno
Le letture dantesche prendono il via sulle acque del Faeit, nei pressi della Buse dai Pagans, l’impressionante antro naturale che ispirò numerose leggende carniche…
I Canti
Cant0 I
Dante a metà del viaggio della vita, si accorge d’aver smarrito il giusto cammino e di essere entrato sonnacchioso e senza saper come, in una selva orrida e oscura. Leggi tutto
Ma, a contrastargli la salita, si frappongono tre fiere, una lonza coperta di pel maculato, un leone famelico e una lupa terribile nella sua magrezza: simboli d ‘altrettanti vizi e deformazioni dello spirito. La lupa tanto lo turba col suo aspetto terribile e fiero ch’egli dispera di guadagnare la cima del colle. Costretto a retrocedere, il poeta scorge un profilo non ben definito o d’ombra e d’uomo, e gli rivolge supplichevoli parole. L’ombra si dà a conoscere per Virgilio cantore d’Enea, e domanda allo spaurito pellegrino perché egli non salga il dilettoso monte, principio d’ogni gioia. Dopo l’espressione della più eletta e affettuosa ·riverenza di discepolo; Dante addita al cantore d’Enea l’ostacolo ch’egli ha trovato ·all’ascensione del monte, e gli domanda aiuto contro l’ultima delle tre fiere. Virgilio gli consiglia di tenere un altro cammino; poiché sarebbe vano il pensiero di abbattere la lupa, dominata da insaziate ignobili cupidigie, fonte per tutti di invicibili iatture; fino a che, dopo essersi accoppiata con molti animali, essa non abbia a soggiacere al Veltro vendicatore e rigeneratore della patria. Questi non ciberà terra nè peltro, Senonché per ora Virgilio riconforta Dante, offrendoglisi a guida in una nuova via, ch’è l’unica via della salvazione: il pellegrinaggio attraverso all’In.ferno e al Purgatorio; che se poi egli vorrà di qui salire alla verace città di Dio, un’anima eletta, sostituendosi al condottiero pagano, escluso dal Paradiso, gli farà scorta al cielo. Dante risponde, professandosi pronto al mistico viaggio; e i due poeti si pongono in cammino.
Preso dallo spavento di tanta tenebra e di tanti perigli, egli alza gli occhi e vede illuminato dal sole il colle, di cui egli sta alle radici; onde, riconfortato, ascende il pendio.
Ma sapienza e amore e virtute
E sua nazione sarà tra Feltro e Feltro.
Di quell’umile Italia fia salute
Per cui morìa la vergine Cammilla
Eurialo e Turno e Niso di ferute:
Questi la caccerà per ogni villa, Fin che l’avrà rimesso nello lnferno,
Là onde invidia prima dipartilla.
Cant0 III
Giunto col suo duce all’entrata sempre aperta dell’Inferno, Dante vi legge una scritta spaventosa che spiega l’origine d’alta giustizia della Città d’Averno e toglie a tutti coloro che v’entrano ogni speranza: Leggi tutto
“Per me si va nella città dolente, Virgilio riconforta il suo alunno a entrare nel mondo dei morti, e, presolo per mano, lo trae seco. Vuolsi cosi colà dove si puote e il nocchiero cogli occhi raggianti di fiamma sfoga la rabbia battendo col remo le anime dannate, indugianti o recalcitranti ch’effondono in atroci bestemmie la loro disperazione, e si dileguano gettandosi dal· lido nella barca, nel flusso perenne di altre ombre che s’avvicendano colle prime senza posa. Virgilio dà contezza a Dante di queste anime perdute che qui convengono da ogni paese, spinte da legge di giustizia divina al passo fatale e costrette a desiderare la loro perdizione. Dopo queste parole, uno spaventoso terremoto, prodotto da aria serrata nelle viscere della terra, e seguìto da un baleno di luce rutilante, toglie Dante fuori di senno e lo fa cadere al suolo.
Per me si va nell’eterno dolore,
Per me si va tra la perduta gente,
Giustizia mosse il mio alto fattore:
Fecemi la divina potestate,
La somma sapienza e il primo amore
Dinanzi a me non fur cose create,
Se non eterne, ed io eterna duro:
Lasciate ogni speranza, voi, ch’entrate!”
Appena entrato nel vestibolo, Dante ode un tumulto di lingue diverse, di orribili favelle, di sospiri, di pianti e di lamenti risuonare per l’aria buia e se ne sente commosso e turbato. Virgilio gli spiega che stanno qui le anime dei vili e degli ignavi, miste agli antichi angeli neutri, cacciati dai Cieli di cui avrebbero compromesso la perfezione e respinti dall’Inferno dove avrebbero dato motivo ai dannati di vantarsi in loro confronto. Essi non possono neppure sperare in un ritorno al nulla; nessuno dei regni oltremondani li vuole ospitare. Nessuna sorte è così bassa ch’essi non la invidiino; e nessun posto è nel mondo per la loro fama… Dante vede una bandiera che sempre gira in una corsa infaticata; e dietro a questa corre un’infinita turba d’ignavi. Fra gli altri, il poeta raffigura qualche spirito e vede e conosce l’ombra del vile, che per ignavia ha fatto il gran rifiuto. Sono tutti ignudi e stimolati da mosconi e da vespe lasciano cadere il sangue che misto da lagrime è raccolto da fossi, i quali serpeggiano ai loro piedi.
Dante guardando oltre, vede gente adunata d’un gran fiume. È questo l’Acheronte, primo fiumi infernali, a cui convengono le anime dei dannati, che Caronte trasporterà all’altra riva. Dante chiede qualche chiarimento a Virgilio; ma il duce ne frena la curiosità intempestiva e il poeta procede muto fino al fiume. Intanto il vecchio demonio tenta di allontanare Dante, unico vivente fra le ombre spaventandolo; ma Virgilio fa tacere subito il nocchiero ricordandogli l’infrangibile legge divina:
Ciò che si vuole, e più non dimandare,
Cant0 VI
Rinvenuto dallo svenimento, Dante si trova misteriosamente nel terzo cerchio occupato dai golosi. Essi sono tormentati dalla pioggia eterna, maledetta, fredda e greve, dalla grandine, dal nevischio che si riversano per l’aria tenebrosa; Leggi tutto
Fra le varie ombre abbattute dalla greye pioggia, sulle quali i poeti pongono i piedi passando, una invita Dante a riconoscerla; ma Dante non rivede le fattezze note sotto il ceffo sfigurato e la invita a palesarsi. Allora l’anima si dà a conoscere per il goloso Ciacco, e accenna alla vita trascorsa in Firenze, ormai dilaniata da invidie senza freno. Dietro richiesta del poeta addolorato, predice le discordie civili di Firenze verificatesi dopo il 1300, le vicende di trionfo e di sconfitta dei Bianchi e dei Neri, vaticinando implicitamente l’esilio di Dante e il tradimento di Carlo il Valese ; poi accenna ai pochissimi cittadini, ancor fedeli a giustizia e assegna come cause dei dissensi intestini la superbia, l’invidia e l’avarizia. Finisce rispondendo ad altre richieste di Dante sul conto di altri insigni fiorentini, Farinata, il Tegghiaio, Jacopo Rusticucci, Arrigo e il Mosca, e avverte ch’essi sono gravati al fondo da diversa pena; poi ricade nel fango, non senza aver pregato il concittadino di rinfrescar la sua memoria nel mondo. Virgilio avverte il suo alunno che Ciacco non potrà più rialzarsi fino al giorno del Giudizio in cui ognuno ritroverà il triste suo sepolcro e riprenderà la carne per udire la sentenza finale; e Dante domanda al maestro se i tormenti dell’Inferno cresceranno, o si faranno minori, o resteranno eguali dopo la grande sentenza. Virgilio risponde sulla scorta della dottrina aristotelica, secondo la quale una cosa quanto più è perfetta, più sente il piacere e il dolore, che gli strazi si faranno più acerbi, quantunque le anime dannate non arriveranno mai a perfezione dello stesso loro stato di pena.
Così parlando, i due poeti arrivano all’ingresso del quarto cerchio, guardato da Pluto, l’antico dio delle ricchezze.
Cant0 X
Procedendo fra il muro e i sepolcri, Dante, vedendo tutte le tombe scoperchiate, chiede a Virgilio se si possan vedere i peccatori che stanno in esse dappoichè nessuno è a guardia delle tombe. Leggi tutto
Virgilio risponde che i coperchi saranno abbassati per sempre nel giorno del Giudizio, e attesta che in quella parte in cui essi si trovano stanno tutti gli Epicurei che non hanno creduto all’immortalità dell’animo. Gli annunzia poi che presto sarà soddisfatto il suo desiderio espresso e l’altro non ancor significato. Mentre Dante rivolge poche parole d’ossequio al maestro, uno di quegli spiriti lo riconosce all’eloquio per concittadino, si sporge dalla tomba, lo invita a soffermarsi, e lo squadra, ergendosi colla persona quasi in atto di sfida allo stesso Inferno. Dante, sospinto da Virgilio, si accosta all’ombra. E’ lo spirito di Farinata degli Uberti, famoso accolito di parte ghibellina che chiede conto al poeta degli antenati di Casa Alighieri, e, avuta risposta, gliene rinfaccia la duplice cacciata, in cui egli ebbe parte precipua. Ma Dante rintuzza che alla cacciata di quei Guelfi è seguito il ritorno, mentre gli esuli Ghibellini sono tutt’ora in bando. Il dialogo è interrotto da un’altra ombra, quella di Cavalcante Cavalcanti, che sorge fuori da un avello con tutta la testa per domandar conto al poeta di suo figlio Guido, compagno di Dante e rimatore della schiera del “dolce stil novo”: Se per questo cieco Carcere vai per altezza d’ingegno, Dante risponde che Guido non è con lui nel mistico pellegrinaggio perchè ebbe a disdegno Virgilio; e con questo “ebbe” lascia intendere a Cavalcante che Guido sia già morto. Mentre Cavalcante a questo annunzio ricade supino nella tomba, l’altro spirito, quello di Farinata, riprende il dialogo interrotto, manifestando il suo dolore per la notizia del bando dei Ghibellini, e predicendo oscuramente a Dante l’esilio nel termine di cinquanta plenilunii: S’egli han quell’arte… mala appresa, Finisce difendendosi caldamente dall’accusa di poca carità di patria. Se egli ha avuto parte nella battaglia di Mont’ Aperti, che tanta iattura portò alla guelfa Firenze, in ciò egli non ha agito da solo, né senza ragione. Da solo invece egli ha difeso a viso aperto la patria a Empoli, quando tutti i Ghibellini ne proponevano la distruzione. Dietro richiesta di Dante, egli scioglie di leggeri un dubbio del concittadino, spiegandogli che i dannati hanno la prescienza del futuro, pur non avendo conoscenza alcuna del presente stato degli uomini sulla terra; e allora Dante lo prega di rassicurare Cavalcante, che il figliuol suo è ancora fra i vivi, scusandosi del suo maligno silenzio di poco prima, causato dal fatto ch’egli pensava non essere ignote agli spiriti infernali le condizioni dei viventi. Farinata prima di riporsi a giacere nell’avello nomina alcuni degli eretici compagni di pena: Federico secondo e il cardinale degli Ubaldini; ma Dante è assorto in pensoso accoramento per l’infausto vaticinio. Senonchè Virgilio lo riconforta e gli predice che nel Paradiso altri gli farà l’intera profezia della vita. E i due poeti proseguono il cammino verso una valle da cui si effonde un gran fetore.
Mio figlio ov’è, e perchè non è teco?
Ciò mi tormenta più che questo letto.
Ma non cinquanta volte fìa raccesa
La faccia della donna che qui regge,
Che tu saprai quanto quell’arte pesa.
Cant0 XIII
Appena oltrepassata la riviera cruenta, i due poeti penetrano in una selva sconsolata, fosca, nodosa e irta di sterpi, nido delle terribili Arpie dalle larghe ali, dai volti e dalle cervici umane, dai piedi artigliati, dal ventre pennuto e dalla voce lugubremente lamentosa. Leggi tutto
Virgilio avverte il suo alunno che è questo il secondo girone del cerchio dei violenti, ove s’appresenta ricca messe di cose strane e incredibili. Dante ode gemiti e sospiri da ogni parte, e non vede alcuno; e Virgilio per toglierlo dal suo stupore lo invita a troncare qualche fraschetta degli alberi circostanti. Dal tronco escono subito sangue e parole; e una voce lamentosa avverte Dante che quegli sterpi di strana forma non sono altro se non il carcere di antichi uomini suicidi, e si risente per l’offesa patita. Virgilio giustifica il suo alunno, adducendone a scusa l’ignoranza; e invita lo spirito celato in quello sterpo a palesare l’essere suo a Dante che per ammenda ne rinfrescherà la fama nel mondo. E il tronco si dà a conoscere per Pier delle Vigne, consigliere intimo di Federico Il, rovinato dall’invidia dei cortigiani, e indotto, per l’accoramento del perduto favore, e per la speranza di fuggire l’altrui dispregio, al suicidio. Egli protesta ben alta la sua innocenza e domanda la riabilitazione della sua memoria infamata dall’accusa di tradimento. Dante profondamente accorato si tace, ad onta di un dubbio che lo assale; ma Virgilio per il suo alunno domanda allo spirito per qual modo l’anima si leghi in quei nocchi e se alcuno spirito mai possa da questo carcere liberarsi. Pier delle Vigne risponde che tutte le anime dei suicidi, appena giudicate, cadono come un seme nella selva, senza facoltà di scegliere la propria sede, e vi germogliano come grano di spelta, prosperando come piante silvestri delle cui foglie si pascono le Arpie. Nel giorno del Giudizio le anime verranno qui a riprendere le loro spoglie mortali risorte, appendendole, ciascuna al proprio sterpo, senza mai rivestirsene, poiché non sarebbe giusto ricuperare ciò che l’uomo con violenza ha tolto a se stesso. A questo punto si presentano agli occhi dei due poeti due spiriti nudi e dilacerati di scialacquatori, che fuggono inseguiti da cagne nere e bramose. L’uno riesce ad allontanarsi; l’altro sfinito, dopo aver rinfacciato al primo spirito che meglio gli avrebbe giovato tanta velocità alle giostre del Toppo in vita, si lascia cadere dietro ad un cespuglio, ove le cagne lo raggiungono, sbranandone le membra dolenti. Intanto l’anima rinchiusa nel cespuglio si lamenta che il secondo spirito abbia voluto vanamente fare schermo del cespo; indi, addimandata da Dante, si dà a conoscere per un Fiorentino appiccatosi nelle proprie case e accenna alle tristi vicende di Firenze. Io fui della città che nel Batista
Mutò iI primo patrono; ond’ei per questo
Sempre con l’arte sua la farà trista:
E se non fosse che in sul passo d’Arno,
Rimane ancor di lui alcuna vista:
Quei cittadin, che poi lo rifondarno
Sopra il cener che d’Attila rimase,
Avrebber fatto lavorare indarno.
Cant0 XV
I due poeti proseguono il cammino sur uno dei caratteristici argini pietrificati, fra il ruscello e l’arena infuocata. A grande distanza dalla selva dei suicidi, incontrano una schiera di violenti contro natura che li guardano, percossi di stupefatta meraviglia. Leggi tutto
Vecchia fama nel mondo li chiama orbi, Dante attesta con pietà figliale tutto il suo accoramento al dannato, tutta la sua memoria riverente verso il profilo venerato del dotto trattatista della guelfa Firenze, che nel mondo gli insegnava ad ora ad ora e come l’uomo s’eterna; e accoglie con animo fermo la profezia di sventura, conquistandosi l’approvazione di Virgilio. Brunetto, richiesto dal poeta, gli addita fra i suoi compagni di colpa (quasi tutti uomini di lettere famosi), Prisciano, Francesco d’Accorso e il vescovo Andrea dei Mozzi. Sopraggiunto da un’altra schiera di dannati, con cui egli non deve confondersi, interrompe il suo dire, per raccomandare là memoria del Tesoro, opera principe, in cui s’infutura il suo nome. Poi con movimento velocissimo si volge addietro a raggiungere la sui masnada.
Una di quelle Ombre prende Dante per il lembo e gli tende il braccio; e il poeta la ravvisa per Brunetto Latini, e si sofferma riverente e pietoso. Lo spirito che non può arrestarsi, per non correr rischio di perdere per cent’anni la facoltà ai farsi schermo dalla pioggia infuocata, lo prega di non interrompere il cammino: ch’egli procederà di fianco a lui e poi raggiungerà la sua schiera. Dopo che Dante gli ha dato conto del suo viaggio, della sua guida e della sua direzione, Brunetto gli predice la gloria, l’esiglio, le ore d’amarezza e la tarda resipiscenza dei Fiorentini, tanto dei Bianchi quanto dei Neri, verso l’esule grande e disdegnoso; e apostrofa i suoi concittadini faziosi e sconoscenti, invitandoli a rispettare almeno il santo nome degli antichi Romani fondatori di Firenze.
Gente avara, inividiosa e superba:
Da’ lor costumi fa che tu ti forbi.
La tua fortuna tanto onor ti serba,
Che l’una parte e l’altra avranno fame
Di te; ma lungi fia dal becco l’erba.
Faccian le bestie fiesolane strame
Di lor medesme, e non tocchin la pianta,
Se alcuna surge ancor nel lor letame,
In cui riviva la sementa santa
Di quei Roman, che vi rimaser, quando
Fu fatto il nido di malizia tanta.
Estratti da Eugenio Levi, La Divina Commedia esposta al popolo, Sonzogno
Il luogo
Nel suo viaggio oltremondano Dante incontra numerosi corsi d’acqua, a cominciare dall’Acheronte nel III canto… qui noi ci accostiamo al Rio Faeit, che si mostra placido ed accogliente ma che lambisce luoghi straordinari e maestosi come la Grotta dei Pagani e la Forra della Cjanevata…
Informazioni pratiche:
Quasi tutti i luoghi delle letture di Dante in Carnia sono facilmente raggiungibili, con parcheggio auto nei pressi. Per i brevi tratti di avvicinamento vi consigliamo sempre di indossare calzature adeguate e portare con voi dell’acqua e uno snack. Sul rio Faeit saranno presenti alcune panche per un numero limitato di posti a sedere, chi lo desiderasse può attrezzarsi in autonomia portando uno sgabello o simile.
In caso di maltempo l’evento si terrà presso l’agriturismo Palude Vuarbis (347 2352471 / 0432 970574) che si trova nelle vicinanze(vedi posizione Baita Vuarbis SR512).
Ci troveremo al punto di parcheggio circa 10′ prima dell’orario previsto per raccogliere il gruppo; il luogo della lettura è nelle immediate vicinanze.
Come arrivare:
Cavazzo Carnico si trova a pochi km dall’ autostrada A23, uscita Carnia, dalla quale poi si prende la SS52 in direzione Tolmezzo fino all’uscita per Cavazzo. Una volta giunti al paese lo si attraversa seguendo le indicazioni per la Grotta dei Pagans e la trattoria Al pescatore, fino alla SS 512 nei pressi del ponte sul Faeit si imbocca via Monte Grappa (seguire indicazione per trattoria Al pescatore) e la si percorre superando una prima area pic-nic sulla sinistra (con Croce in ferro) fino ad uno spiazzo di parcheggio sempre sulla sinistra (cartello indicatore sul posto). Il torrente Faeit è nelle immediate vicinanze dell’area parcheggio, la lettura avverrà nei pressi.
Plus code:
926J+CR Cavazzo Carnico, Provincia di Udine
Nelle vicinanze:
Nei pressi del Rio Faeit si trovano altri notevoli punti di interesse: La Buse dai Pagans –un’impressionante grotta naturale contenente un resto delle fortificazioni del Vallo Littorio- e la Forra della Cjanevata, spettacolare forra sull’affluente del Faeit, anch’essa contenente un “ponte” in calcestruzzo che unificava due settori delle fortificazioni sotterranee del Vallo Littorio. Attenzione: per accedere ad entrambi questi luoghi è necessario guadare il Faeit e percorrere un tratto di sentiero che per quanto breve è piuttosto accidentato. Non sempre la forra è transitabile, in base alla portata d’acqua del rio Cjanevata.