Paradiso
Una delicata e romantica scala in pietra ci conduce in un angolo di Paradiso carnico al centro di Socchieve: la Pieve di San Martino.
I Canti
Cant0 XV
Il canto dei beati si tace per infondere in Dante la voglia di manifestare liberamente i suoi desideri; e, simile a repentino guizzo di luce attraverso ai sereni tranquilli e puri, scende dal corno destro della croce uno dei lumi più fulgenti, muovendosi. per entro il raggio come un fuoco dietro a un alabastro;
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e saluta con tenero affetto il poeta, in cui ravvisa un discendente, e s’allegra della grazia• divina cosi luminosamente concessa aI mistico pellegrino. Dante volge gli occhi dallo spirito a Beatrice e la vede transfigurata dl bellezza e di bagliore. Intanto la luce, dopo il primo sailuto, aggiunge cose profonde che trascendono l’intendimento umano. Il poeta incomincia a intendere il. senso del discorso quando il beato, benedicendo la Divinità, tanto cortese al suo sangue, gli effonde la sua grande soddisfazione di veder adempito un desiderio già concepito dalla lettura nel grande libro della prescienza divina; e lo invita a esporgli, affinché meglio si traduca in atto il sacro amore, chiaramente i desideri ch’egli del resto legge in lui : la voglia cioé, ben viva in Dante, di ayer notizie di quella luce della letizia straordinaria che la irradia. Dante, ottenuto da Beatrice un dolce sorriso d’assenso, si’ scusa di non poter esprimere, per condizioni peculiari dell’umana natura, tutto l’affetto che sente; e supplica lo spirito di manifestarsi. E la luce: “Io fui il tuo progenitore, – incomincia – ; colui dal quale la tua famiglia ha preso il cognome, e che più di cent’anni• ha scontato la colpa di superbia nel primo girone, fu mio figlio e tuo bisavolo; e tu devi colle tue opere abbreviargli il tempo della pena. Ai tempi miei Firenze entro l’antica cinta delle mura viveva in pace, sobria e pudica. Non aveva adornamenti vani di catene, di diademi, di cinture, più vistose degli stessi pregi naturali della persona. Né le figlie si maritavano allora anzi tempo, né le doti erano smisurate. Le case non erano disertate dalle famiglie ; l’effeminatezza e il lusso non ,avevano contaminato il focolare domestico.
“La febbre edilizia non , cercava di costruire quei grandi edifizi per l’abbellimento della città, che come oggi vince nella magnificenza, così un tempo sopraffarà tutti nella rovina. ,
“Più volte ho visto uomini ragguardevoli portar cinture di cuoio e d’ oro e contentarsi di pelle senza panno, e donne insigni rinunciare ai fronzoli e ai belletti e accudire al fuso e al- pennecchio. Certe della loro sepoltura senza pericolo d’esilio, esse vegliavano a studio delle culle, favoleggiando colle ancelle delle antiche tradizioni della patria. Una Cianghella e un Lapo Salterello sarebbero state per quei tempi una tal meraviglia come per i• tempi odierni una Cornelia o un Cincinnato. Qui mi diè a luce mia madre; e fui battezzato col nome.di Cacciaguida di San Giovanni. Miei fratelli furono Moronte ed Eliseo; e Ia mia sposa da cui venne il tuo cognome, mi giunse dalla valle padana. Al seguito di Corrado combattei come Crociato i Saraceni che oggi usurpano per l’inerzia dei papi il Santo Sepolcro; e qui fatto prigione e ucciso, venni dal martirio a questa pace.”
Cant0 XVI
Dante si gloria nel Cielo della nobiltà della sua stirpe attestatagli da Cacciaguida; ma non lascia di pensare che la nobiltà di sangue rapidamente si esaurisce e si consuma, quando novelle virtù non le infondano nuovo alimento. Leggi tutto
“E molti castelli sarebbero ancora di piena spettanza dei loro signori. La varia confusione di diversi ceti immigrati ha sempre avuto funesto effetto sulle città, senza che di maggior contingente offra miglior salvaguardia di difesa guerresca. E se le stesse città rovinano rapidamente, non è meraviglia che in breve periscano le stirpi e le famiglie.
“Soltanto accade talora che questa indefettibile vicenda di morte, che sovrasta a schiatte e a città, si celi all’occhio contingente degli individui. Tale rapida vicenda di famiglie si può soprattutto osservare nel processo dialettico della storia fiorentina. lo stesso ho visto ancor fiorire molte illustri famiglie fiorentine che ora stanno per estinguersi; ho visto i Ravignani di Porta San Pietro, da cui sono discesi Guido Guerra e i Bellincioni; ho visto i Della Pressa, già assunti a uffici di Stato, e i Galigai dallo stemma dorato; ho visto già grande il ceppo dei Sacchetti, dei Giuochi, dei Fifanti, dei Barucci, dei Galli, dei Chiaramontesi, dei Calfucci ; ho visto chiamati a magistrature curuli gli Arrigucci e i Sizii, ho visto nel massimo fulgore i Lamberti. E fiorivano gli antenati di quegli ecclesiastici che ora poltriscono occhieggiando ai benefici vacanti; fiorivano, sebbene da piccolo ceppo venuti, gli Adimari, e in un con essi i Caponsacchi, i Guidi e gli Infangati.
“Quei della. Pera, oggi venuti così meno, davano il nome a una porta ; e, sebbene oggi il portatore dell’insegna di Ugo il Grande s’incanagli colla plebe, le famiglie, che allora di quell’insegna si decoravano, avevan tutte privilegi nobiliari. E molti altri, oggi fatti popolani, erano grandi; e grandi e onorati erano gli Amidei; e malissimo fece a disdegnarne il parentado quel Buondelmonte, che avrebbe dovuto affogare in Ema, anziché ingenerare tanta iattura in Firenze. Ai miei tempi, quando tutte queste famiglie erano in auge, la patria si stava riposata e tranquilla; .e il suo giglio non era mai a ritroso per vituperio di sconfitta, né invermigliato per civili dissensi.”
Cant0 XVII
Dante ,prova in sé un ardentissimo desiderio; Cacciaguida e Beatrice se ne avvedono, e la donna Beata lo invita a manifestarlo, non già per accrescer la conoscenza di lei o del bisavolo, ma perché egli si avvezzi a pregare per essere esaudito.Leggi tutto
E il poeta, volgendosi a Cacciaguida, lo supplica, in nome della facoltà che il beato possiede di leggere nella prescienza divina del futuro, di dilucidargli con chiarezza quelle profezie di sventura, di cui già gli è stato fatto cenno nel Purgatorio e nell’Inferno. E Cacciaguida, disdegnando le ambigue locuzioni degli ✓antichi oracoli, con chiare parole e con preciso linguaggio così gli squarcia il velo dell’avvenire: “Tutte le cose contingenti, che si limitano al mondo terreno, sono dipinte nel cospetto eterno, pur senza trarre di qui, dalla prescienza divina, alcun carattere di necessità nello svolgimento, dal che sarebbe vincolato l’arbitrio degli umani. Da questo eterno cospetto a me giunge alla vista il tuo avvenire, come da un organo viene all’orecchio una soave armonia. Per aver resistito al male, tu dovrai partirti da Firenze per l’eslio; e già nella corrotta Curia ecclesiastica si ordisce siffatta trama. In principio la colpa si attribuirà in grido agli offesi;’ ma in seguito la vendetta farà testimonianza di quella Verità che punisce secondo il merito.
Lasciata ogni cosa diletta, tu proverai quante croste abbia il pane altrui; e, per maggiore amarezza, i tuoi compagni d’esiglio, scempi e malvagi cercheranno di soverchiarti con amara ingratitudine; senonché in breve volger di tempo ne pagheranno il fio ; e tu non avrai che a gloriarti d’esserti appartato nella tua solitudine. La prima dimora ospitale sarà per te quella del Gran Lombardo degli Scaligeri, che spingerà la sua cortesia fino a prevenire sempre le tue domande; e in questa casa vedrai colui, nella nascita del quale questo cielo di Marte ha esercitato tale influsso; che le sue imprese di guerra saranno un dì famose. Il mondo non -s’é accorto ancora di lui per la sua tenera età; ma prima che Clemente V tenda ad Arrigo VII il suo inganno, già si manifesteranno i primi germi del suo valore nel suo dispregio del denaro e nella sua resistenza ad ogni affanno. Gli stessi avversari stupiranno muti innanzi alle sue liberalità. Anche tu sentirai il contraccolpo delle sue magnificenze ; e ne porterai scritte nella memoria, senza appalesare ad alcuno, queste cose ch’io ti predico. Queste, sono a un dipresso le sciagure che ti attendono ; ma non perciò devi portar odio ai tuoi vicini, poiché la tua vita s’infutura assai più delle loro perfide opere.”
II poeta, dopo le prime esitazioni, osa manifestare al suo maggiore un dubbio grave e delicato che lo tormenta: per l’esiglio predettogli egli sente il bisogno di non sconciliarsi ‘i contemporanei, che potranno offrirgli ospitalità: e d’altra parte nel suo mistico viaggio egli ha visto cose che, narrate, avranno per molti • sapor di forte agrume” Ma, s’egli tace, ha paura di perder vita tra i posteri. E la luce di Cacciaguida, fattasi più risplendente così risolve il dubbio del nepote; “Lle coscienze nere sentiranno l’agrume del tuo carme; ma tu disvela senz’alcun riguardo la tua visione. Che se la tua voce sulle prime potrà offrire qualche molestia, lascerà poi un buon ammaestramento quando sarà ben ponderata. Questo tuo grido produrrà l’effetto del vento che più percuote le cime più alte; né questa sarà per te piccola gloria. Ed è perciò che nel tuo viaggio ti sono mostrate solo le anime famose, i cui nomi più scuotono il cuore.
Cant0 XXI
Dante rivolge gli occhi a Beatrice, la quale più non ride poiché il poeta non resisterebbe a tanto fulgore. Essa gli annunzia che sono ormai giunti al settimo cielo, o cielo di Saturno, e lo invita a fissar gli occhi alla figura del lucente pianeta e a seguire colla mente gli occhi. Leggi tutto
Dante ubbidisce divotamente alla scorta celeste. La figura che gli appare per contro al lucido cielo è una scala d’oro, tanto alta che l’occhio non arriva a vederne la cima, salita e ridiscesa da infiniti angeli e beati, che roteano e sfavillano. Uno degli spiriti della scala celeste si appressa e si fa più fulgido, si che Dante vede in lui il desiderio di parlare. Senonché il poeta non rompe il silenzio senza un cenno di Beatrice; ottenutolo, così egli parla alla luce: “Sebbene il mio merito non mi conceda alcun diritto di avere da te una risposta, pure per amore di Beatrice, spiegami per qual ragione tu ti sei accostata a me, e in virtù di qual legge in questo cielo tace la dolce sinfonia di Paradiso.” “Qui non si canta – risponde la luce – per la stessa ragione per cui Beatrice non ha riso, per non vincere cioé i tuoi sensi mortali. Qui sono discesa più presto delle altre Iuci non perché ferva in me maggior grado d’amore; ma la Carità divina induce ciascuna di noi a tradurre in atto liberamente l’ufficio a lei dato in sorte.” Dante capisce questa legge del divino amore sugli spiriti; ma vuol sapere perché proprio quella luce e non un’altra, sia stata predestinata a venire a lui e a parlargli. E la luce roteando raggiante in se stessa : “Per irradiazione – risponde – del Lume divino, congiunta colla virtù visiva della mia vista intellettuale io posso tanto innalzarmi su di me stesso da vedere l’Essenza divina. Da questa visione procede l’allegrezza di noi beati. Ma nessuno di noi potrebbe però soddisfare alla tua domanda, poiché ciò che tu cerchi si inabissa nell’imperscrutabile decreto di Dio. E quando ritorni nel mondo, riferisci questa nostra impotenza, affinché i mortali disperino di giungere a ciò a cui non possiamo pervenire noi stessi.” Dopo ciò, il poeta domanda alla luce contezza di sé stessa. “In Catria sorge un eremo, in cui io trassi fra penitenze e salmi la vita contemplativa. Quel chiostro rendeva un tempo molte anime ai cieli ; ma ora non ne rende più, perché vuoto di buone opere. In esso io fui Pier Damiano, nella casa di Nostra Donna in Ravenna mi chiamai Pietro Peccatore. Nell’ultimo tempo di mia vita fui tratto a quel cappello cardinalizio, che ora si muta d’uno in altro, ma sempre di male in peggio. Ahimé!Gli apostoli Pietro e Paolo, magri e scalzi, mangiavano un tempo il cibo, ovunque capitassero. Ma ora, i pastori moderni sono tanto grassi che hanno bisogno ,di rincalzi, e cogli ampi manti fastosi ricoprono i loro palafreni, cosicché sotto una pelle sola procedono due bestie. O infinita, pazienza che tolleri siffatto strazio!” A queste parole molte luci scendono intorno al beato, ed effondono un fremito di altissimo sdegno celeste.
Cant0 XXII
Dante si volge stupito e spaurito a Beatrice, e questa gli risponde amorosamente : “Qui in cielo tutto procede da santo zelo; se tu avessi inteso la preghiera contenuta in questo grido, già ti sarebbe nota la vendetta che si adempirà prima della tua morte.Leggi tutto
La giustizia divina sembra soltanto affrettata o tarda ai desideri o alle paure degli umani; in realtà essa viene sempre a tempo. Ma volgiti ormai a mirare gli spiriti illustri di questo pianeta.” Dante , vede infatti cento sperule che s’irradiano a vicenda; e alla sua mente dubitosa e stupita appare l’anima più luculenta che così parla: “Per non farti indugiare il tuo alto fine io non attenderò la tua domanda per soddisfare il tuo desiderio. Un tempo il castello di Casino era frequentato da una insana turba d’infedeli; e io per il primo vi portai la buona parola di Cristo, ottenendovi ottimi risultati. Queste altre luci appartengono a spiriti contemplanti ; qui è Maccario, qui è Romoaldo ed altri fratelli miei santi e buoni.”
Dante, incoraggiato dall’ardore di carità che la luce gli ha dimostrato, si fa ardito a pregarla di rimostrarsi a lui con immagine scoperta; ma essa gli risponde che solo nell’ultima spera, fuori dai limiti del tempo e dello spazio, là dove ogni desiderio è perfetto e maturo, là dove apparve la scala carica di angeli a Giacobbe, potrà essere adempito il suo desiderio. E dall’accenno alla mistica scala il beato trae occasione per un’invettiva: “Nessuno ora muove i piedi da terra per salire sull’aureo scaleo. Nessuno più osserva la regola monastica, tutto è corruzione nei monasteri.
“E nulla tanto offende Dio quanto la turpe cupidigia dei monaci; poiché tutto ciò che la Chiesa custodisce, è patrimonio dei poveri. Tante sono le seduzioni, che il fervore onde si inizia un istituto religioso raramente può conservarsi. Tanto l’apostolo Pietro, quanto io, quanto Francesco, abbiamo dato umili e, saggi inizi ai vostri ordini; ma ora tutto degenera; eppure il rimedio sebbene difficile, non sarebbe impossibile !”
Ciò detto, la luce si riunisce alla sua compagnia, che rapidamente s’invola. Beatrice sospinge il poeta- su per la mistica scala; ed egli, in men d’un baleno, vede la costellazione dei Gemini e si trova in essa. Qui Dante si ricorda che quando egli nacque, appunto in Gemini si trovava il sole; e chiede a questa stella di dargli forza per l’ardua impresa di concludere il suo poema. Beatrice lo invita a rimirare in giù tutto il mondo ormai trasceso ; ed egli ubbidisce e rianda collo sguardo le sette sfere e la terra tanto piccola e vile; e vede la luna infuocata senza le macchie, e sostiene, senza esserne abbagliato, la vista del sole e delle stelle vicine; e percepisce Giove e altri pianeti e intende la ragione del lor mutar luogo. Volgendosi coi Gemini, ancora una volta contempla dai colli alle foci questa piccola terra, sul cui possesso tanto si accaniscono gli umani; e poi rivolge gli occhi agli occhi belli della Donna sua.
Cant0 XXIII
Beatrice se ne s!a eretta e attenta verso queIla parte del cielo ov’è il sole nel mezzogiorno; e Dante, vedendola nell’estasi, desidera di’ conoscerne la cagione. Leggi tutto
Ed ecco che il cielo si fa piu lucente e Beatrice col viso acceso e cogli occhi lieti esclama: “Ecco il trionfo di Cristo!” Migliaia di lumi appaiono accesi da un sole, e per la viva luce trascorre abbagliante la Sostanza divina: la Potenza che apre la strada fra la terra e il cielo. Il poeta a tanto spettacolo, esce di sé, perdendo ogni memoria dei fatti. E mentre sta ancora sotto questa impressione confusa, Beatrice lo invita ad aprire gli occhi per volgerli a lei e contemplarne il riso ineffabile Il poeta ubbidisce, all’invito; e confessa di non esser capace di ritrarre quel santo riso, quella luce schietta che circonfonde l’angelico aspetto; e che inoltre ‘deve passar sotto silenzio molte ineffabili cose viste in Paradiso, sempre per la pochezza delle sue forze mortali, Beatrice induce il poeta a distoglier gli occhi da lei per contemplare il bel giardino che s’infiora sotto i raggi di Cristo, Maria., e gli apostoli. E Dante guarda in fatti numerose schiere di beati illuminate dai raggi ardenti che piovono da Cristo già asceso in alto e che più non si vede; poi concentra tutta la sua attenzione -nel più grande fra i celesti splendori, in cui si cela Maria. Ed ecco che ai suoi occhi estatici appare una facella, la quale discende formata in cerchio a guisa di corona e cinge la Vergine e si aggira intorno a lei e intuona un cantico celestiale. Io sono amore .angelico che mi aggiro intorno al grembo onde spira alta letizia; e mi aggirerò finché tu, o Maria, seguiti -il tuo divin Figlio, risalito ali’ Empireo.” Cosi si chiude il canto, e le altre luci l’accompagnano rispondendo “Maria” La Vergine, coronata dall ‘Arcangelo, si alza sopra l’ultimo cielo per seguire Cristo suo figlio; ma siccome il nuovo cielo ha la sua cavità interiore a distanza inaccessibile, il poeta, ,dal luogo dov’ è non può distinguerla. lntan!o i beati, tutti insieme, in uno slancio di ardente carità si protendono verso l’alto ; poi s’arrestano cantando con infinita dolcezza il “Regina coeli” Quanta ubertà di beatitudine e di gloria in quelle luci che tanto santamente hanno vissuto la vita terrena ! Qui in cielo si raccolgono i frutti di tutti i dolori, di tutte le rinuncie ! Qui trionfa, nel nome di Cristo, coli’ assemblea dei beati del Vecchio e del Nuovo testamcnto, San Pietro.
Estratti da Eugenio Levi, La Divina Commedia esposta al popolo, Sonzogno
Il luogo
La Pieve di San Martino è una tipica chiesa Carnica del XV. Conserva tracce di affreschi romanici e un ciclo pittorico di Gianfrancesco da Tolmezzo, oltre alla sua ultima opera, la pala d’altare, incompiuta. Gradevolissima la vista sulla valle.
Informazioni pratiche:
La Pieve si trova al centro del paese, nei pressi c’è un ampio parcheggio.
In caso di maltempo l’evento si terrà al Bar-ristorante La Stella (0433 80100, Via Nazionale 7, Socchieve).
Ci troveremo presso la chiesa circa 10′ prima dell’orario previsto.
Come arrivare:
Socchieve si raggiunge facilmente: da Udine con autostrada A23: si esce a Carnia per poi prendere la SS52 in direzione Tolmezzo – Villa Santina-passo della Mauria. Dopo Enemonzo, prendere lo svincolo per Socchieve.
Nelle vicinanze:
Socchieve e le sue numerose frazioni offrono numerosi percorsi di escursione ricchi di punti di interesse. Poco distante dalla Pieve di San Martino si trova la Pieve di Castoia e il suo cimitero ottocentesco che per fascino e posizione meritano senz’altro una visita.