Inferno
Nella valle di Fleons il Degano ha scavato un’impressionante forra fra il Navagiust e il Navastolt, dove si raccolgono alcune delle acque più pure della regione.
I Canti
Cant0 III
Giunto col suo duce all’entrata sempre aperta dell’Inferno, Dante vi legge una scritta spaventosa che spiega l’origine d’alta giustizia della Città d’Averno e toglie a tutti coloro che v’entrano ogni speranza: Leggi tutto
“Per me si va nella città dolente, Virgilio riconforta il suo alunno a entrare nel mondo dei morti, e, presolo per mano, lo trae seco. Vuolsi cosi colà dove si puote e il nocchiero cogli occhi raggianti di fiamma sfoga la rabbia battendo col remo le anime dannate, indugianti o recalcitranti ch’effondono in atroci bestemmie la loro disperazione, e si dileguano gettandosi dal· lido nella barca, nel flusso perenne di altre ombre che s’avvicendano colle prime senza posa. Virgilio dà contezza a Dante di queste anime perdute che qui convengono da ogni paese, spinte da legge di giustizia divina al passo fatale e costrette a desiderare la loro perdizione. Dopo queste parole, uno spaventoso terremoto, prodotto da aria serrata nelle viscere della terra, e seguìto da un baleno di luce rutilante, toglie Dante fuori di senno e lo fa cadere al suolo.
Per me si va nell’eterno dolore,
Per me si va tra la perduta gente,
Giustizia mosse il mio alto fattore:
Fecemi la divina potestate,
La somma sapienza e il primo amore
Dinanzi a me non fur cose create,
Se non eterne, ed io eterna duro:
Lasciate ogni speranza, voi, ch’entrate!”
Appena entrato nel vestibolo, Dante ode un tumulto di lingue diverse, di orribili favelle, di sospiri, di pianti e di lamenti risuonare per l’aria buia e se ne sente commosso e turbato. Virgilio gli spiega che stanno qui le anime dei vili e degli ignavi, miste agli antichi angeli neutri, cacciati dai Cieli di cui avrebbero compromesso la perfezione e respinti dall’Inferno dove avrebbero dato motivo ai dannati di vantarsi in loro confronto. Essi non possono neppure sperare in un ritorno al nulla; nessuno dei regni oltremondani li vuole ospitare. Nessuna sorte è così bassa ch’essi non la invidiino; e nessun posto è nel mondo per la loro fama… Dante vede una bandiera che sempre gira in una corsa infaticata; e dietro a questa corre un’infinita turba d’ignavi. Fra gli altri, il poeta raffigura qualche spirito e vede e conosce l’ombra del vile, che per ignavia ha fatto il gran rifiuto. Sono tutti ignudi e stimolati da mosconi e da vespe lasciano cadere il sangue che misto da lagrime è raccolto da fossi, i quali serpeggiano ai loro piedi.
Dante guardando oltre, vede gente adunata d’un gran fiume. È questo l’Acheronte, primo fiumi infernali, a cui convengono le anime dei dannati, che Caronte trasporterà all’altra riva. Dante chiede qualche chiarimento a Virgilio; ma il duce ne frena la curiosità intempestiva e il poeta procede muto fino al fiume. Intanto il vecchio demonio tenta di allontanare Dante, unico vivente fra le ombre spaventandolo; ma Virgilio fa tacere subito il nocchiero ricordandogli l’infrangibile legge divina:
Ciò che si vuole, e più non dimandare,
Cant0 IV
Il poeta è svegliato dal suo sonno da un greve tuono che giunge dall’abisso. Egli si guarda intorno e avverte di essere nella valle oscura, profonda e nebulosa d’Averno; e un po’ esitante segue Virgilio, non senza accorgersi di qualche turbamento dello stesso suo duce. Leggi tutto
Ma questo turbamento non è paura; sì bene pietà delle ombre del primo cerchio che non è abitato da malvagi. Entrato in questo primo cerchio, cioè nel Limbo, egli trova le anime dei morti senza battesimo, turbe di fanciulli e di adulti, esclusi dal Paradiso per sola deficienza di fede, e non per mancanza di virtù.
Essi hanno per unica pena il desiderio continuo e disperato della divinità; anzichè piangere sospirano, i sospiri conferiscono un tremito all’aura eterna. Virgilio gli spiega che quelli di costoro, che vissero prima del Cristianesimo, non hanno creduto in Cristo venturo. Dante, per sciogliere un suo dubbio ,teologico, chiede alla guida se mai sia uscita dal Limbo qualche anima, per merito proprio o altrui, per esser fatta beata. E Virgilio descrive la discesa fatta da Cristo per annunciare la libertà alle anime dei pii dell’antico Patto, colà trattenuti.
Egli ne ha tratti – prosegue Virgilio – Adamo, Abele, Noè, Mosè, Abramo, Davide, Giacobbe col padre Isacco, coi figli e con Rachele e molti altri; e iniziò con questi spiriti l’entrata nel Paradiso, che dalla caduta d’Adamo alla morte di Cristo era chiuso. • Intanto i due poeti procedono nel loro cammino e a un certo punto Dante scopre un fuoco che dominando le tombe dell’Inferno, illumina in forma d’emisfero una regione del Limbo. Qui stanno gli spiriti magni dell’antichità che appaiono a Dante ben distinti dagli altri, per la grazia celeste, giusto premio della nominanza onorata da essi lasciata nel mondo. Quattro sommi poeti, Omero, che li precede con la spada in mano, Orazio, Ovidio e Lucano, appaiono a salutare con riverenza Virgilio, e, ‘dopo aver ragionato fra loro, chiedendo conto del nuovo venuto al cantore d’Enea, accolgono Dante nella loro schiera.
Tutti insieme arrivano a piedi d’un castello, cerchiato sette volte d’alte mura, difeso all’intorno da un vago fiumicello, ch’essi valicano a piedi asciutti. Passando per sette porte, giungono a un prato verdeggiante, sede di tutti i grandi della civiltà greco-latina. Tardi e gravi negli occhi, maestosi in volto, soavi nella voce, parlano un linguaggio savio, pacato e rado. E il poeta vi ritrova le mitiche figure iliache di Elettra, d’Ettore, d’Enea, quelle della stirpe antica italica, come Camilla e la Pentesilea, Latino con sua figlia Lavinia, quelle della storia romana, come Bruto e Cesare, Lucrezia, Giulia, Marzia, Cornelia, i sapienti come Aristotele, Socrate e Platone; i filosofi, come Empedocle, Eraclito, Anassagora, Talete, Democrito, Diogene, Zenone; gli scienziati, come Tolomeo ed Eu.clide; e soloin parte il Saladino.
Dante e Virgilio, separatisi dagli altri quattro poeti, continuano il loro viaggio.
Cant0 V
I due pellegrini discendono nel secondo cerchio. Qui i dannati sono sottoposti all’esame e al giudizio dI Minosse, il quale, ringhiando orrendamente, si cinge tante volte il corpo colla coda, quanti sono i cerchi che l’anima deve gradualmente discendere appena confessata. Leggi tutto
E la turba di spiriti sempre si rinnova. Anche Minosse, come già Caronte, tenta di spaventare Dante mettendolo in guardia dall’ampiezza dell’entrare e dal genere della Guida; ma Virgilio nel nome di Dio lo induce al silenzio. Dante volge l’occhio ai lussuriosi, puniti in questo secondo cerchio muto di luce e risuonante di strida, e trascinati in vorticoso giro della bufera. Giunti innanzi a un balzo dirupato, gli spiriti, effondendo gemiti e strida, bestemmiano la divina virtù. Sono disposti in due schiere a seconda che hanno soggiaciuto a basso impeto di sensualità o a cieco fato d’amore, e nessuna speranza li sorregge, non pur di riposo, ma di pena minore. Dante si affretta a chiedere chi sieno gli sciagurati, di cui la bufera fa strazio; e Virgilio dà contezza di alcune di queste anime, come Semiramide imperatrice che fece legge del suo talento, Didone, che per lussurioso amore ruppe fede al cenere dello sposo Sicheo, Cleopatra, Elena, Achille, Paride, Tristano; e Dante s’arresta, vinto da un’accorata pietà. Per consiglio del suo duce, egli prega due di quelle anime trascinate in un amplesso, che si soffermino a dar conto di sé stesse La coppia, vinta dal supplice grido di Dante, accorre, muovendo per l’aere maligno, uscendo dalla schiera delle. vittime di fatalità passionale; e la donna, dopo aver attestato ogni simpatia per il pietoso che la interroga, espone la tragica storia d’amore. Essa è Francesca da Rimini e il suo compagno è il suo cognato Paolo. Il loro destino si compendiò nell’amore peccaminoso, più forte del dovere, più forte della vita, più forte della morte. Amor, che al cor gentil ratto s’apprende, L’offeso marito sconterà la sμa terribile vendetta nel pozzo di Cocito. Dante vinto dalla ineluttabile bellezza di questa tragica sorte che ha tinto il mondo di sanguigno chiede alla peccatrice qualche notizia sul primo impeto della passione che la travolse, e Francesca, sospirando con un’infinita tristezza che non ha ancora perduto il vestigio della lussuria, ricostruisce la scena del primo bacio. Ella leggeva con Paolo, in piena libertà e solitudine, gli amori di Lancillotto e della regina Ginevra; e alla lettura del bacio, anch’essi non avevan saputo opporre resistenza alcuna all’ impeto dell’ amore lungamente carezzato in silenzio… e le bocche si sono cercate ! Galeotto fu il libro e chi lo scrisse Mentre Francesca narra, l’altro spirito piange; Dante per la commozione vien meno.
Prese costui della bella persona
Che mi fu tolta, e il modo ancor m’offende .
Amor, che a nullo amato amar perdona,
Mi prese del costui piacer si forte
Che, come vedi, ancor non mi abbandona.
Amor condusse noi ad una morte.
Cant0 XVII
Ecco la. fiera che abbatte ogni ostacolo, che tutto ammorba e corrompe! Ha il volto di uomo giusto, le branche pelose fino alle ascelle, il dosso, il petto e le coste dipinte di nodi e di cerchietti, la coda velenosa e aguzza; risiede, parte in acqua e parte in terra, sull’orlo pietroso che cinge l’ardente sabbione; Leggi tutto
e la sua coda guizza in aria, torcendo in su la forca velenosa che arma la punta a guisa di scorpione. I poeti scendono alla costa destra e fanno pochi passi verso l’orlo del cerchio, allorché, a breve distanza dal luogo in cui stava Gerione, vedono i violenti contro l’arte, gli usurai. Questi seggono a terra Iagrimando e scuotendosi con le mani I’ardor dei vapori e dell’arena infuocata. Dante vi si accosta solo, mentre Virgilio sta a parlamentare con Gerione; e non riconosce alcuno di essi al viso; ma vede che dal collo pende loro una tasca di determinato segno e colore, a cui tengono sempre rivolto lo sguardo. La tasca mostra uno stemma, e il poeta riconosce alcuna di queste insegne: leone azzurro in campo d’oro, oca bianca in campo rosso, e via. Un Padovano che ha per stemma la scrofa azzurra in campo bianco, parla a Dante di due famosi usurai viventi, Vitaliano del Dente, e il cavalier Giovanni Buiamonte dallo stemma con tre capri in campo d’oro, che troveranno posto nella masnada, e accompagna gli accenni con gesti beffardi e scurrili. Dante retrocede al suo duce. Questi, ch’ è già salito in groppa a Gerione, rincora l’alunno a montarvi, e Dante per vergogna vince la paura terribile ond’ è pervaso, e si assetta sulle orrende spalle, senza poter proferire parola. Ma il maestro interpretando il desiderio lo cinge colle braccia e lo sostiene. Intanto Gerione, ossequente agli ordini di Virgilio, nuota dapprima all’indietro facendo i giri molto larghi e lenti, e poi vola di fronte. Dante preme nel petto una smisurata paura, e l’ansietà s’accresce al gorgo dell’acqua del Flegetonte che cade dal settimo all’ottavo cerchio e all’aspetto del precipizio dell’ottavo cerchio. I supplizi occorrono da diverse parti alla vista, e di qui Dante s’accorge del suo calare. Gerione scarica i due poeti ben rasente all’ardua ripa; e poi si allontana colla velocità di una freccia scagliata dall’arco. I due poeti penetrano nel regno della frode.
Cant0 XIX
Con un’apostrofe a Simon mago, Dante accenna ai simoniaci, puniti nella terza bolgia, adulteratori per amor di lucro delle cose sacre.
Leggi tutto
O Simon mago, o miseri seguaci, Sono confitti, capovolti, in fori della stessa larghezza e dello stesso circuito; hanno fuori le gambe e le piante accese, onde le giunture si contorcono; e le fiamme si muovono su per tutta la pianta dei piedi dai calcagni alle punte delle dita. Il poeta si accosta col consenso e coll’aiuto di Virgilio, nel fondo stretto e foracchiato, a uno dei dannati che più degli altri guizza coi piedi e gli chiede conto di sé. Dante trae occasione dalle parole di Nicolò III per rinfacciare con alto sdegno ai simoniaci la bella semplicità di Gesù e degli apostoli, eterno rimprovero alla turpe avidità degli ecclesiastici del tempo. lnvita con amara ironia Nicolò III a custodire la mal tolta moneta che gli infuse tanto ardimento a combattere Carlo d’Angiò. E, procedendo a più aspra invettiva, identifica la Chiesa che tresca in adulterio coi sovrani colla meretrice dell’Apocalisse e raffigura i simoniaci agli idolatri. Chiude con un’accorata apostrofe alla donazione fatta da Costantino a papa Silvestro, prima causa di tanto male, inizio del distacco di Pietro dai puri interessi spirituali. Il guizzo delle piante del simoniaco si accresce per il dispetto o per il rimorso. Virgilio, che ha seguito l’invettiva con volto consenziente e sereno, si piglia in collo il suo alunno e lo porta fino al colmo dell’arco che segna il passaggio al nuovo argine. Qui lo depone dolcemente; e di qui si appresenta la quarta bolgia.
Che le cose di Dio, che di bontate
Deono essere spose, voi rapaci
Per oro e per argento adulterate;
Or convien che per voi suoni la tromba,
Però che nella terza bolgia state.
Il peccatore crede che Dante sia Bonifacio VIII che dovrà succedergli nel posto (i Simoniaci, al sopraggiungeredi nuovi dannati, ricadono nelle fessure); e, maravigliandosi dell’anticipata morte, gli domanda s’egli sia già satollo delle malversazioni e delle simonie. Ma Dante per consiglio di Virgilio lo disinganna prontamente. E allora lo spirito torcendo i piedi si dà a conoscere con voce lagrimosa per Nicolò III degli Orsini, confessa la propria simonia, il turpe favoreggiamento per la sua famiglia; conferma l’attesa di Bonifacio e accenna ali’ulteriore successione di costui nella. persona. di un altro pontefice, famigerato simoniaco, pastore senza legge e senza costume, novello Giasone, che delinquerà impunemente, con la complicità di Filippo il Bello: Clemente V.
Delà ! Or mi di’, quanto tesoro volle
Nostro Signore in prima da San Pietro
Ch’ei ponesse le chiavi in sua balia?
Certo non chiese se non: Vienmi dietro.
Né Pier né gli altri chiesero a Mattia
Oro od argento, quando fu sortito
Al loco che perdè l’anima ria.
Cant0 XXVI
Dante fa una sarcastica invettiva Contro Firenze, cosi degnamente rappresentata da cinque cittadini nella bolgia dei ladri, e aggiunge una predizione di prossime sventure alla patria. Leggi tutto
Godi, Fiorenza, poi che se’ sì grande, Indi egli risale col suo duce per la medesima via ond’era disceso rimontando sempre per le sporgenze degli scogli che diventano più erte e malagevoli Giungono così al di sopra dell’ottava bolgia, tutta rutilante e risplendente di fiamme numerosissime, in ognuna delle quali si cela senza esser menomamente visto un malvagio consigliere. Dante, ritto in piedi e sporto con tutta la persona sulla bolgia, sì che per non cadere deve appigliarsi ad un masso, vede una fiamma a due punte e chiede al maestro quali spiriti vi si trovino. E Virgilio spiega che qui, Ulisse e Diomede, pagano il fio dell’astuzia del cavallo di legno, dell’inganno fatto a Deidamia, del furto del Palladio e dei molti consigli frodolenti che hanno dato in vita. Dante vorrebbe che la fiamma bicorne si appressasse per udirla parlare; e Virgilio, pregandolo di tacersi, poiché, come Greci, essi sarebbero schivi di ascoltare e di rispondere al Fiorentino, rivolge egli stesso la parola al maggior corno della fiamma, invitandolo in nome della memoria da lui consacratagli nell’Eneide, a render conto di sé e della sua morte. E Ulisse, dimenando la cima della fiamma come lingua, racconta. Partito da Circe dopo il -soggiorno d’un anno presso di lei al monte Circeo, nessun vincolo d’affetto potè trattenerlo in patria, distogliendolo dalla passione di navigare sotto altri cieli e di conoscere molti costumi degli uomini. Messosi in mare con un solo legno e con un manipolo d’uomini, visitò il Lido europeo e africano fino alla Spagna e fino al Marocco, peregrinò in varie isole del Mediterraneo e giunse coi compagni già provetti negli anni alle colonne d’Ercole. Dal lato sinistro egIi si era già lasciato addietro, Ceuta e dal destro Siviglia. E qui in nome dei pericoli trascorsi, in nome dell’alta missione della stirpe umana egli incorò il suo seguito mesto e tardo a passare il segno per conoscere, seguitando il sole, l’altro emisfero. Mossi velocemente i remi come ali al volo, piegando sempre a sinistra dalla parte del globo antartico, giunsero nel termine di cinque mesi a un’altissima montagna. Già erano lieti per la vista della terra, allorché un turbine improvviso, per disposizione divina, inghiottì la nave nel mare.
Che per mare e per terra batti l’ali,
E per l’Inferno il tuo nome si spande.
Tra li ladron trovai cinque cotali
Tuoi cittadini, onde mi vien vergogna,
E tu in grande onranza non ne sali.
Ma se presso al mattin del ver si sogna,
Tu sentirai di qua da picciol tempo
Di quel che Prato, non ch’altri, t’agogna.
E se già fosse, non sarìa per tempo;
Cosi foss’ei, da che pur esser dee !
Chè più mi graverà com’ più m’attempo.
Estratti da Eugenio Levi, La Divina Commedia esposta al popolo, Sonzogno
Il luogo
Nella Valle di Fleons, dove sgorga limpida un’ottima e rinomata acqua, superata la cava di marmo fior di pesco di Pierabech (la località più a nord del Friuli venezia Giulia) si trova una profonda forra scavata dal Degano…. ci fermiamo sul ponte di legno che vi conduce, per ricevere nuova ispirazione nelle letture della prima cantica dantesca.
Informazioni pratiche:
Lasceremo l’auto nei pressi della Cava per raggiungere il ponte di legno in direzione della forra, vi consigliamo di indossare calzature adeguate e portare con voi dell’acqua e uno snack.
In caso di maltempo l’evento si terrà presso la Sala Cinema Teatro di Forni Avoltri (Corso Italia 22, accanto al Municipio).
Ci troveremo al punto di parcheggio circa 10′ prima dell’orario previsto per raccogliere il gruppo e avviarci lungo il sentiero; il luogo della lettura è a pochi minuti’ di cammino.
Come arrivare:
La località di Pierabech si trova nord di Forni Avoltri, per arrivarci da Tolmezzo si percorre la SR 355 attraversando Villa Santina dove si prende la direzione per Ovaro e si prosegue fino a Forni Avoltri. A nord dell’abitato si imbocca sulla destra la strada che porta alla cava e allo stabilimento di imbottigliamento dell’acqua minerale (bivio segnalato da cartelli).
Il luogo di lettura si raggiunge a pedi lasciando l’auto nei pressi della Cava di Marmo di Pierabech.
Plus Code: JQFH+JQ Forni Avoltri, Provincia di Udine
Nelle vicinanze:
Nei pressi della Valle di Fleons si trovano numerosi luoghi interessanti e meritevoli, ve ne segnaliamo alcuni: il Lago di Bordaglia all’interno dell’Oasi Faunistica, le trincee e fortificazioni della Prima Guerra Mondiale. A Forni Avoltri troviamo due interessanti Musei locali: Il Museo della Grande Guerra e il Museo etnografico “Cemuot chi Erin”.